E’ sostanzialmente il caso più clamoroso (forse l’unico vero, spontaneo e onesto) di ribellione al music biz di una pop star appena nata. Da un anno all’altro Gianluca Grignani passa da belloccio che fa ingrifare e gridare le ragazzine ad Artista mainstream capace di incidere il miglior disco italiano di post-grunge/alternative rock anni Novanta composto da un nome non underground. Echi di Radiohead, Seattle Sound e psichedelia allucinata per un ottimo lavoro che all’epoca venne (ovviamente) snobbato dal competente e lungimirante pubblico nazionale. Al contrario, per una volta la critica ci vide benissimo, acclamando il cd. Commercialmente, invece, “La fabbrica di plastica” fu un flop e convinse Grignani a mantenere nelle uscite successive la classica base pop melodica, scelta che comunque gli garantirà una carriera di tutto rispetto dal punto di vista delle classifiche.
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