Oltre l’industrial metal dei Ministry. Molto oltre. Il cantante e chitarrista inglese Justin Broadrick, già nei Napalm Death di “Scum”, non si vuole fermare alla velocità supersonica del grindcore nella sua ricerca dell’estremo in musica. Così, insieme a C. Christian Green al basso, fonda un nuovo e persino più minaccioso mostro sonoro a cui dà il nome Godflesh. Dopo un EP omonimo, con “Streetcleaner” il duo – irrobustito dalla chitarra di Paul Neville in alcune tracce – pubblica il primo full length. Il cui contenuto somiglia a uno stato di grave malessere alienante messo in note, abbraccio mortale fra Killing Joke, Swans e Throbbing Gristle, con i Black Sabbath in lontananza a osservare la scena. Drum – machine come una pressa che avanza lenta e implacabile, chitarre ronzanti, basso fangoso, un vocione che rimbomba ossessivo in qualche fabbrica abbandonata, qua e là alcune accelerazioni di macchinari impazziti e campionamenti di vociare sconnesso ad enfatizzare l’abbrutimento: sono questi gli elementi di “Like Rats”, Dream Long Dead”, “Head Dirt” (terrificante la distorsione agonizzante della sei corde), “Devastator”, “Life” (elegia per un’umanità ridotta a merce), “Locust Furnace” e di tutti gli altri pezzi che compongono quest’affresco del dolore suburbano. Un concentrato di metal, industrial, doom e sludge dei più micidiali. Da recuperare, nell’edizione contenente anche il non meno devastante EP “Tiny Tears”.
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