Sembrava dovesse rimanere un disco fantasma, una chimera, invece dopo 15 anni di attesa “Chinese Democracy” vede davvero la luce. Non si può parlare di capolavoro, e il risultato finale neppure giustifica uno iato temporale così gigantesco. In più: 13 milioni di dollari spesi nel “making of” son persino troppi. Ma non è neppure catastrofico. Ricco di luci ed ombre, tutto sta a pensarlo come una sorta di solista di Axl Rose, e d’altra parte della line – up originale è rimasto solo lui. Così il punto focale dei 14 brani che lo compongono è sempre la voce del leader, utilizzata in tutta la sua potenza ed estensione, urlata, sognante, filtrata, sovraincisa…insomma, una manna per i fan del cantante. A livello puramente stilistico, “Chinese Democracy” appare come una prosecuzione di “Use Your Illusion II”: una sorta di reinvenzione del rock sinfonico, dove ogni pezzo ha una sua identità ed è pieno di influenze diverse (hard rock, industrial, elettronica e campionamenti, musica classica etc etc). Peccato che in tutta questa stratificazione sonora le ritmiche siano assolutamente mediocri: il basso è praticamente inesistente (il sound sferragliante di Duff è solo un ricordo), mentre le chitarre di accompagnamento sono di una povertà sconcertante. Un album che, a suo modo, risulta persino coraggioso, ma in cui le parti melodiche e sinfoniche finiscono per opprimere del tutto la componente più dura e pericolosamente rock dei vecchi Guns. Disco terribilmente controverso, ma da citare se non altro per l’evento che rappresenta la sua sola pubblicazione.
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