Negli anni Settanta la psichedelia originaria si dissolve in una congerie di ramificazioni disparate, andando a nutrire le radici di molti stili differenti. Fra le band che più riescono a rimodellarla a proprio favore si segnalano gli Hawkwind, freak inglesi guidati dal cantante e chitarrista Dave Brock, il quale dopo un apprendistato all’insegna del blues e del folk fonda questo collettivo nel 1969. “In Search Of Space“, secondo album, vede il complesso alle prese con una spericolata fusione di acid rock, hard rock, elettronica spaziale e folk astrale, contraddistinta da un’elefantiasi sonora che poggia sulla reiterazione del riffing e sui colossali rimbombi del sintetizzatore e di non meglio precisati ‘generatori audio’. L’intento è quello di convogliare tali immani pulsazioni in uno sterminato trip spaziale dal battito assordante e dall’incedere cupo. Nasce lo space rock, declinato in questo caso su matrice heavy. Il quarto d’ora abbondante di “You Shouldn’t Do That” dilata fino al parossismo un unico tema, disturbato da sibili di navi spaziali e scolpito dagli incisi del sax contralto di Nik Turner; “Master Of The Universe” scava un riff ciclopico nel mezzo degli sciami di fiati e synth; “You Know You’re Only Dreaming” è psycho – improvvisazione per flauto, sassofono, batteria, basso e chitarra che conduce in oscuri antri extraterrestri; infine, “We Took The Wrong Step Years Ago” è una ballad acustica ‘intergalattica’ dal grande fascino. Non stupisce che siano stati sopranominati “Grateful Dead d’Inghilterra”. Di “In Search Of Space” è preferibile procurarsi la ristampa in cd, dove è presente il singolo “Silver Machine”, punto fermo nella carriera degli Hawkwind e primo brano in cui compare Lemmy, futuro fondatore dei Motorhead.
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