Iron Maiden – Seventh Son Of A Seventh Son

Se i sintetizzatori e i singoli cadenzati del precedente (e stupendo, ma metterli tutti è impossibile, ndr) “Somewhere In Time” avevano fatto storcere il naso ai fan più accaniti, con “Seventh Son Of A Seventh Son” gli Iron Maiden realizzano un altro capolavoro assoluto dell’heavy metal anni Ottanta. Le tastiere oramai fanno parte completamente del sound della band che, a dispetto di una produzione relativamente impattante, regala epicità e toni maestosi a un album che va a finire vicino a debutto, “The Number Of The Beast” e “Powerslave” per importanza e valenza. Gli ammiccamenti al progressive rock e le strutture ricche di cambi di tempo sono la chiave di volta per il concept che Steve Harris e compagni incidono. Se la velocità a volte fa difetto, la qualità di “Infinite Dreams”, title – track e “The Evil That Men Do” è oltre ogni aspettativa. Alla fine il singolo di lancio “Can I Play With Madness” risulta l’unico pezzo discutibile di un lotto difficilmente criticabile, dove “The Prophecy” e la favolosa opener “Moonchild” svettano imperiose. È l’ultima release con Adrian Smith alla chitarra, nonché il virtuale capolinea di un decennio irripetibile per i Maiden. Sarà difficilissimo per il gruppo ritrovare la giusta alchimia da questo momento in poi…

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