Dell’imponente produzione del “pop composer” francese Jean Michel Jarre, “Oxygene” è l’unico album che bisogna necessariamente possedere. Dopo un paio di 33 giri finiti nel dimenticatoio, con i sei movimenti che formano quest’opera il musicista trova il grimaldello in grado di aprire le stanze del successo mondiale (ad oggi, “Oxygene” ha venduto circa 12 milioni di copie). Registrata nella cucina di casa, riadattata per l’evenienza a studio di registrazione e invasa da quasi una decina di sintetizzatori analogici, fra i più all’avanguardia per l’epoca, la mirabolante suite di Jarre si rivelerà geniale nel rivestire la musica elettronica d’allora di un involucro smaccatamente pop, orecchiabile e persino ballabile. Nonostante si tratti di un lavoro completamente strumentale, “Oxygene” riesce a distaccarsi dai moduli di fredda glacialità dell’elettronica “colta” e da quelli di sublime astrazione del kraut rock preso nella sua variante cosmica, per approcciare un sound in grado di far breccia sulle masse; sentire “Oxygene IV” per credere. In breve, l’LP in questione avrà un’influenza enorme sul synth – pop che si svilupperà negli anni Ottanta, così come sulla new age, sulla techno e su qualsiasi suono sintetico che nei successivi decenni vorrà fregiarsi di un appeal popolare. In questo senso, l’operato del musicista di Lione è, per importanza, secondo solo a quello dei Kraftwerk.
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