Jerry Lee Lewis arriva alla Sun Records poco dopo la migrazione di Presley dalla piccola (ma formidabile) etichetta di Sam Phillips alla più grossa e potente RCA Victor. Come Elvis è un eccezionale cantante, ma a differenza sua non si accompagna con la chitarra bensì col piano. Che suona con una foga assoluta, quasi parossistica tanto è la folle furia che ci mette nel martellare senza sosta gli 88 tasti dello strumento che fu di Chopin, esasperando fino ai limiti dell’accettabile (per l’epoca) boogie e rockabilly per ottenere un risultato incendiario. “The Killer”, “Wild One”, questi i soprannomi che affibbiano al giovane Jerry Lee: e lui non fa nulla per smentirli, comportandosi da selvaggio sia sul palco sia nella vita privata. Sposa la cugina tredicenne Myra Gale Brown, e da quel momento viene esposto al pubblico ludibrio e la sua carriera precipita; ci metterà parecchi anni prima di tornare in auge, questa volta però come musicista country. Del suo periodo rock and roll rimane questa manciata di brani, che esplodono come candelotti di dinamite e possono esser visti come esempi di punk ante – ante litteram; avesse interpretato soltanto “Whole Lotta Shakin’ Goin’ On”, “Great Balls Of Fire”, “Breathless” e “High School Confidential”, Lewis avrebbe comunque conservato un’importanza enorme nella storia del rock.
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