Quello che non era ancora riuscito ai vari Nice, Moody Blues, Procol Harum e ai gruppi di pop sinfonico in generale, né tanto meno ai Soft Machine e alla corrente di Canterbury, ossia creare una sorta di nuovo ‘codice sacro’ su cui edificare la musica dell’avvenire, riesce invece ai King Crimson nel loro incommensurabile esordio, unico possibile atto di nascita del progressive rock. “In The Court Of The Crimson King” è un portentoso balzo verso altre costellazioni sonore, in cui la chitarra di Robert Fripp, leader incontrastato della band, rappresenta l’elemento rock, mentre il mellotron e gli strumenti a fiato suonati da Ian McDonald (sax, clarinetto e flauto) indicano rispettivamente la componente classica e jazz. I cinque brani presenti su questo LP sembrano appartenere a un altro mondo, sospesi fra sogno (“I Talk To The Wind”, una delle più belle ballad di sempre, con il flauto che dona un tocco surreale, e l’astratta “Moonchild”) e incubo futuribile (l’agghiacciante “21st Century Schizoid Man”, che prima di tornare al feroce tema ascendente iniziale si sfoga in una jam supersonica in cui il sassofono di McDonald lambisce il free jazz). Nonostante l’atmosfera allucinata, a cui la voce di Greg Lake dona ulteriore consistenza, i King Crimson si riconoscono fin da subito per il rigore ferreo con il quale curano ogni frammento delle loro composizioni, che rimangono capolavori di aristocratico neoclassicismo, mai sfiorati dall’improvvisazione selvaggia della psichedelia appena trascorsa o dal delirio mistico/dionisiaco che caratterizzerà il krautrock alle porte. La via inglese al prog, quella più famosa e di successo.
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