I King Crimson chiudono la loro ‘terza fase’ con due dischi colossali, che rimarranno fra i più apprezzati sia dalla critica sia dai fan. “Starless And Bible Black”, realizzato in quartetto, mostra la band proseguire attraverso i sentieri tracciati dal precedente “Larks’ Tongues In Aspic” (1973), in un continuo saliscendi fra melodia e aspra sperimentazione. Il country rock distorto e alieno di “The Great Deceiver” coglie l’ascoltatore alla sprovvista, mentre nel resto del disco Robert Fripp e compagni si divertono a passare dal tenue impressionismo di “The Night Watch” all’improvvisazione di “We’ll Let You Know” sino all’atmosfera cupa di “The Mincer”. I dialoghi fra la chitarra di Fripp e il violino di David Cross sono entusiasmanti, soprattutto nelle ultime due lunghe composizioni strumentali, ossia la title – track e “Fracture”, quest’ultima esaltata da uno straordinario crescendo. L’interplay con il basso di John Wetton e la batteria di Bill Bruford è perfetto. “Red”, uscito a fine anno, va ancora oltre: Cross è presente in un solo brano, in compenso un quartetto di fiati (Mel Collins e Ian McDonald sono della partita) accompagna il trio in quello che rimane uno degli album progressive più pesanti e metallici mai scritti. La title – track, introdotta da una scala ascendente di chitarra da mozzare il fiato, influenzerà molto heavy metal degli anni Ottanta: le distorsioni usate da Fripp ricordano molto da vicino quelle di cui si serviranno i Voivod. “Providence”, registrata live nella città omonima, mostra il violino di David alle prese con brevissimi fraseggi atonali che ricordano Schoenberg e Webern. I 12 minuti di “Starless” concludono il disco in gloria: da una lieve melodia al mellotron si sviluppa una narrazione sonora soave e malinconica (stupendi gl’interventi dei sassofoni), il cui umore richiama l’esordio del gruppo, “In The Court Of The Crimson King” (1969); dopo una pausa, il brano assume toni più aspri e meccanici, con la chitarra elettrica che comincia a stridere e contorcersi, fino al rientro arrembante dei fiati e ad una coda strumentale dominata da dissonanze e distorsioni, prima che la solenne ripresa del tema iniziale concluda questo vero e proprio capolavoro. Appena dopo la pubblicazione di “Red”, Robert Fripp dichiarerà i King Crimson sciolti “forever and ever”. Per fortuna nostra si contraddirà a inizio anni Ottanta, ma quella sarà tutta un’altra band.
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