Australiana di bella presenza, la Minogue era già nota in patria per esser stata attrice bambina sul piccolo schermo sul finire degli anni Settanta e primi Ottanta, e successivamente quale popstar di buon impatto a livello nazionale, con occasionali sconfinamenti europei (UK in particolare). Gli anni Novanta la vedevano protagonista di discreta importanza, e nel suo curriculum vantava pure collaborazioni di prestigio, su tutte quella con Nick Cave. Kylie deve però aspettare il nuovo Millennio per esplodere definitivamente. “Fever” si rivela arnese micidiale per compiere la scalata alla stardom. Più ammiccante rispetto ai predecessori, che per sfondare può contare sul colossale tormentone di “Can’t Get You Out Of My Head“, brano scandito da beat dance su relitti synthpop che, parafrasandone il titolo, non si schioda più dalla testa (“la la la la la lalala” ripetuto ad libitum). Risultato: 10 milioni di copie sparse nel mondo e una fama che s’ingrossa a dismisura nel corso dei mesi, persino negli States, nazione sino ad allora ostica per la cantante aussie. Bravissima a interpretare quel tipo di pop “usa e getta” che sta fagocitando, inesorabile, gran parte della musica popolare del 21esimo Secolo.
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