Nonostante l’epoca in cui uscì fosse ricettiva verso la musica pesante e fuori dagli schemi, il secondo album dei Kyuss vendette molto poco. Un flop commerciale che ricorda quello del debutto dei Velvet Underground: pochissimi lo comprarono, eppure nel corso della storia la sua influenza si rivelò enorme. Simile sorte, seppure in ambito più ristretto, è stata riservata a “Blues For The Red Sun“, opera capitale del quartetto di Palm Desert e prima pietra miliare di tutto lo stoner rock. In queste 14 tracce (ma l’ultima, “Yeah”, sta tutta nel titolo) i giovanissimi John Garcia (voce), Josh Homme (chitarra), Nick Oliveri (basso) e Brant Bjork (batteria) detonano heavy metal, blues, psichedelia, space rock e vecchio hard anni Settanta in una miscela violentissima e mai sentita prima, nonostante il materiale non sia freschissimo. Una innovazione possibile anche per mezzo di un paio di stratagemmi: l’utilizzo di amplificatori per basso anche per la chitarra e l’abbassamento delle accordature degli strumenti di un paio di note, da Mi a Do. Ne risulta un muro di suono spessissimo, pachidermico, in cui le distorsioni si fanno ottundenti e riescono realmente a dar l’impressione di gigantesche onde di calore che sbattono senza pietà contro il viso dell’ascoltatore. A volte pare di ascoltare i Black Sabbath che improvvisano una jam con gli Hawkwind nel bel mezzo della Death Valley, settando i Marshall al massimo della potenza in modo da farli fondere. “Green Machine” diverrà il manifesto di un intero genere, il resto è un susseguirsi di botte soniche che deragliano definitivamente nei 6 minuti di “Mondo Generator”, delirio di voci affogate e furia strumentale. Essenziale.
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