Tutta la carriera di Lenny Kravitz è un esercizio di stile. Vero. Ma si tratta di un eccelso esercizio di stile. Altrettanto vero. E allora è inutile proseguire fino alle calende greche con la storia del “copione” e del “prodotto di marketing”. Soprattutto quest’ultima è l’accusa più stupida e disonesta che si può muovere all’artista newyorkese e alla sua musica. Perché proprio il diretto interessato non ha mai fatto mistero di esser cresciuto con i dischi di James Brown, Aretha Franklin e Stevie Wonder da un lato e quelli di Jimi Hendrix, Led Zeppelin e Aerosmith dall’altro. Così nei suoi cd non ha fatto altro che assemblare, con abilità straordinaria, il soul e il funk ‘neri’ con la psichedelia e l’hard rock ‘bianchi’. Ovvio che spesso molti album mostrino una sovrabbondanza di filler, così per evitare l’inconveniente è consigliabile accaparrarsi questo bellissimo “Greatest Hits“: Lenny ha affermato che la scelta dei brani è esclusivamente frutto dei manager della sua casa discografica, i quali hanno scelto solo gli hit più famosi di una carriera che poteva ormai contare su 5 LP da studio. In fin dei conti non è stato un male: in 15 tracce viene realmente condensato il meglio del Nostro, immortalato tanto nei suoi empiti rock (“Are You Gonna Go My Way”, “Rock And Roll Is Dead”, “Always On The Run”, quest’ultima con Slash alla chitarra e fiati R&B a far da contorno) quanto nei ripiegamenti intimisti e smaccatamente soul (“Stand By My Woman”, l’inedito “Again”). Persino l’elettronica simil Nine Inch Nails di “Black Velveteen” risulta piacevole. Il successo è immenso: più di 20 milioni di copie smerciate in tutto il mondo, tanto che si tratta tuttora del disco più venduto di Kravitz.
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