Un album particolare, in grado di rappresentare qualcosa in più del suo puro contenuto musicale. Già, perché “Forse le lucciole non si amano più“, oltre ad essere un gran disco di per sé, è anche l’ultimo grande disco di un’intera epoca musicale: quella del rock progressivo italiano, che nel 1977, dopo aver rischiarato tutta la prima metà degli anni Settanta, si è ormai avviato verso il suo ineluttabile tramonto. Ed è proprio nel momento del crepuscolo che sbucano dal nulla questi sette musicisti astigiani con un debutto che rappresenta l’ultimo sussulto di creatività dell’underground prog italico (i grandi nomi sopravvivranno ancora, ma intorno ad essi rimarrà ben poco). Per essere il canto del cigno di un intero movimento, l’LP in questione è perfetto: in sette lunghi brani sintetizza un lustro di sintassi sonora progressiva, dall’uso massiccio di pianoforte e tastiere allo sviluppo a suite di alcuni episodi sino ai testi aulici e ricercati, nei quali però s’insinua un sapore nostalgico talmente intenso da caratterizzarli in modo del tutto originale. In episodi come “Profumo di colla bianca”, “Cercando un nuovo confine”, “Sogno di Estunno”, “Vendesi saggezza” e nella stessa title – track si possono rintracciare il romanticismo della P.F.M., il lirismo del Banco, il virtuosismo di Yes e Gentle Giant, l’alone di fiaba dei Genesis e, in generale, tutti i tratti caratteristici di uno stile in grado di segnare in profondità il rock ed il pop di un intero decennio.
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