Chiusa l’esperienza dei Velvet Underground, che senza l’apporto di John Cale e con il solo Reed al timone pubblicano un paio di album interessanti ma privi del tocco arty che aveva reso immensi i primi due, Lou si dedica finalmente alla carriera solista, che lo vedrà protagonista fino ai giorni nostri. Dopo un disco omonimo composto da materiale risalente all’esperienza con il Velluto Sotterraneo, con “Transformer” il musicista si tramuta in un Frankenstein dei bassifondi newyorchesi, diventando l’icona indiscussa del glam rock più insinuante ed estremo, interprete per antonomasia della realtà metropolitana più deviata e deviante, cantore del ‘lato selvaggio’ della Grande Mela. Prodotto dalla coppia formata da David Bowie e Mick Ronson, l’album si apre con il riff urticante di “Vicious” e poi precipita l’ascoltatore in un susseguirsi d’ambigui stati d’animo, oscillanti fra la melodia struggente di “Satellite Of Love” (con archi e coro) e “Perfect Day” (con pianoforte e archi), il rock viscerale di “Hangin’ ‘Round” e “I’m So Free” e la dichiarazione d’intenti di “Walk On The Wild Side”, condotta da una batteria e un basso jazzati e assurta a manifesto dell’estetica decadente di questo Reed (ce ne sono molti in realtà).
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