Questo epocale doppio album fu registrato a New York fra il 19 e il 21 agosto 1969. Nei giorni appena precedenti, a qualche centinaio di chilometri di distanza, si era consumata l’epopea di Woodstock. Ulteriore dimostrazione di come Miles Davis abbia sempre saputo inserirsi perfettamente nelle mode e nelle tendenze musicali del Novecento, a volte persino anticipandole. Con “Bitches Brew” nasce ufficialmente la fusion, grazie a un jazz rock esasperatamente elettrificato e cangiante che lascia in sospeso i rapporti fra armonia e melodia e si concentra su poliritmi africani, riff di estrazione rock, timbri dei più disparati, improvvisi scatti funk, rarefazioni sonore puntillistiche e atonali (non a caso Davis, oltre ad ascoltare Hendrix e James Brown, conosceva bene anche l’opera di Stockhausen), il tutto tenuto insieme da un’improvvisazione e un interplay così liberi e fluidi che per “Bitches Brew” alcuni parleranno di ‘esecuzione telepatica’. In sei lunghe jam (la title – track dura più di 26 minuti) Miles e i suoi sodali (una formazione di 12 musicisti, fra cui due batterie, tre piani elettrici, contrabbasso e basso elettrico, chitarra elettrica, clarinetto e sassofono opportunamente effettati e distorti, oltre alla tromba del leader e percussioni varie) smontano il jazz e il rock e li rimontano ex novo, immersi in un’atmosfera di creatività febbricitante e inarrestabile. Con questo opus magnum decolla definitivamente “l’astronave elettrica FreePop”, per rubare una felice espressione di Luca Cerchiari, contenuta nella sua autobiografia “Miles Davis”. “Bitches Brew” diventerà disco di platino e, fra i musicisti presenti nelle sessioni di registrazione, Wayne Shorter e Joe Zawinul fonderanno i Weather Report, John McLaughlin costituirà la Mahavishnu Orchestra e Chick Corea i Return To Forever, ossia le tre formazioni fondamentali della fusion degli anni Settanta.
Categorie
- Anniversari (74)
- Classifiche (61)
- Migliori Album (2.316)
- Storia della Musica (60)
- Underrated (11)