Con “Origin Of Symmetry” (2001) si erano imposti all’attenzione dello show biz, tramite il successore “Absolution” (2003) avevano consolidato le posizioni, ma solo con “Black Holes And Revelations” i Muse si consacrano in via definitiva fra le più grandi rockstar del 21esimo secolo. E non solo a livello di mero successo commerciale (che comunque è grandissimo). Il fatto è che Matthew Bellamy e soci non si limitano a rilanciare con un disco troppo simile ai predecessori; preferiscono comporre un lavoro enigmatico e dai molteplici riferimenti, in grado di spiazzare l’ascoltatore. Mantenendo però un sound distinguibile fra mille, abilità che appartiene solo ai grandi. Ad apparire quasi sconcertante, in “Black Holes And Revelations”, è l’esacerbazione del dualismo elettrico/elettronico: entrambe le componenti sono protagoniste di un dialogo serrato, con la chitarra acida e nervosa di Bellamy impegnata a menar fendenti nelle strutture anni Ottanta (synth a go – go, batteria filtrata e ritmi quadrati e ripetitivi) che caratterizzano parecchi brani del cd. Il quale non è certo esente da pecche, ma nel pop/rock contemporaneo solo i Radiohead hanno mostrato più coraggio. Qualità che in entrambi i casi ha pagato. Ce ne fossero di più…
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