Ancora con i Crazy Horse, anche se non accreditati nelle note di copertina, Neil Young firma un tassello di colossale importanza per la propria carriera e il rock tutto. “After The Gold Rush” vede il ‘loner’ canadese sbilanciato sul versante folk/country, anche se non manca il rock palpitante di “When You Dance I Can Really Love” e la crepitante invettiva elettrica anti – razzista di “Southern Man” (a cui quattro anni dopo i Lynyrd Skynyrd risponderanno con “Sweet Home Alabama”: unico caso in cui dalla polemica verso un capolavoro è scaturito un altro capolavoro). Ma, sia che Young canti d’amore lasciandosi accompagnare dal piano in “Only Love Can Break Your Hearth”, sia che reinterpreti un country di Don Gibson (“Oh, Lonesome Me”), sia infine che distilli melodia purissima (“Birds”), a colpire è soprattutto la prodigiosa capacità di scrittura di un ragazzo di appena venticinque anni. Oltre al senso di disillusione che pervade molti dei testi e che diviene profetico in “Don’t Let It Bring You Down”. Nel giro di un lustro quella stessa disillusione si tramuterà in puro sconforto esistenziale, ma in “After The Gold Rush” c’è ancora il tempo per cullarsi con il pianoforte e il flugelhorn della title – track e assaporare la poesia di “I Believe In You”, fino all’arrivo del mattino…
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