Il ‘ritorno’ al rock dell’artista canadese non è certo allegro e spensierato, come potrebbe lasciar intendere il titolo del disco (in realtà ispirato a un film apocalittico degli anni Cinquanta). Anzi, come già faceva presagire il vibrante live dell’anno precedente, “Time Fades Away”, nel nuovo studio album Young accentua i segnali di malessere che già avevano segnato profondamente “Harvest” (1972). Solamente, al posto del country – folk ‘bucolico’ che pervadeva quest’ultimo, in “On The Beach” l’elettricità si fa più pressante, la produzione è meno levigata e più aspra, le atmosfere scivolano dal pessimismo attivo dell’opener “Walk On”, trascinante rock & roll caratterizzato da un forte groove della sezione ritmica, all’allucinata disperazione della conclusiva “Ambulance Blues”, quasi nove minuti di musica costruiti sopra ad uno scheletrico riff di chitarra che sostiene le rancorose invettive di Neil verso i suoi critici di allora e verso Richard Nixon (allora coinvolto nello scandalo Watergate), mentre la memoria rincorre i tempi del Riverboat, il locale vicino a Toronto fulcro del movimento folk – rock canadese di fine anni Sessanta. Nel mezzo, trovano posto il tonante rock di “Revolution Blues”, l’accusa contro le compagnie petrolifere presente in “Vampire Blues”, il folk purissimo per banjo e dobro guitar di “For The Turnstiles” e l’atmosfera sfinita di “Motion Picture”, in cui la slide guitar e l’armonica lacerano lo spirito. Ai tempi la rivista Rolling Stone lo definì “uno degli album più disperati del decennio”; in questo senso, il successivo “Tonight’s The Night” farà peggio. In ogni caso, “On The Beach” ebbe scarso successo commerciale e venne apprezzato solo da una ristretta cerchia di fan, tanto che fu ristampato in cd solo nel 2003. È però una delle opere più belle e riuscite di Neil Young, da annoverare sicuramente fra i suoi capolavori.
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