In molti credevano davvero che i Nevermore avrebbero potuto raccogliere l’eredità dei grandi gruppi thrash degli anni Ottanta per portare il genere nel nuovo Millennio, diventando una band gigantesca capace di dominare le arene per lungo tempo. “Dead Heart In A Dead World” è il picco artistico assoluto del quintetto, capace di fondere in una miscela unica e indistinguibile heavy, progressive, ovviamente thrash e stacchi melodici incredibili, che arrivavano quasi a sorpresa sotto tonnellate di riff e intricati cambi di tempo. La proposta spopola tra i ragazzini e conquista anche le vecchie glorie ammaliate dall’ugola di Warrel Dane e dai virtuosismi di Loomis (chitarra) e Van Williams (batteria). A distanza di anni, questo rimane uno degli album migliori del Duemila in ambito metal evoluto, peccato che nell’immediato futuro il gruppo perderà la bussola, rimanendo confinato in un limbo underground che andava già allora strettissimo al quartetto di Seattle.
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