Opeth – Blackwater Park

L’idea geniale degli Opeth, band svedese guidata dal cantante e chitarrista Mikael Åkerfeldt, è stata quella di accostare a lunghe perorazioni elettriche di chiara matrice death metal stacchi puramente acustici, dal sapore elegiaco, coniando così uno stile dalla forte fascinazione malinconica e, soprattutto, unico. Sin dai primi due album, “Orchid” (1995) e “Morningrise” (1996), il complesso si è subito distinto dai colleghi “deathsters” scandinavi per questa continua alternanza tra elaborate partiture di progressive death e rarefazioni intimiste, aspetti ulteriormente rimarcati dalla doppia voce clean/growl. Tale originalità ha finito per dividere i fan del metal estremo fra adoratori incondizionati del gruppo e detrattori altrettanto accaniti (oggi degli Opeth si direbbe che sono “divisivi”). È però altrettanto innegabile la loro importanza all’interno del movimento underground, dimensione dalla quale i Nostri hanno cominciato ad emergere proprio con questo cd. “Blackwater Park” li coglie in un momento cruciale della carriera: canzoni come “The Leper Affinity”, “Bleak”, “Harvest” (un perfetto esempio del loro volto più soffuso e disteso), la monumentale title – track e la non meno imponente “The Drapery Falls” sono episodi che ricapitolano al meglio quanto seminato nel corso degli anni Novanta, lo veicolano verso un pubblico leggermente più ampio che in passato e sigillano splendidamente la prima parte di carriera. Il futuro li vedrà distaccarsi lentamente, album dopo album, dallo stile degli esordi, per approdare a una particolarissima forma di progressive rock.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *