La band svedese guidata dal cantante e chitarrista Daniel Gildenlöw si segnala subito all’attenzione degli estimatori del progressive metal con il debut album “Entropia” (1997), già ricco di felici intuizioni. I due dischi seguenti, “One Hour By The Concrete Lake” (1998) e “The Perfect Element, Part I” (2000), proseguono nel crescendo rossiniano di visioni ed emozioni. Il culmine della parabola rimane “Remedy Lane“, opera introspettiva suddivisa in tre parti, in cui Daniel riversa tutto se stesso in complessi testi basati sui ricordi della sua primissima giovinezza, epoca nella quale sperava d’imparare cosa fosse la libertà. Al di là delle tematiche, è la musica a colpire in primo luogo: i Pain Of Salvation dimostrano di saper andare oltre l’assunto Dream Theater-iano, sfoderando uno stile del tutto peculiare, che unisce le consuete partiture intricatissime (cambi di tempo su tempi composti, riff arzigogolati costruiti su mobilissimi pattern ritmici, atmosfere cangianti) a scariche elettriche cupe e violente che a loro volta mutano improvvisamente in delicate aperture melodiche: in tal senso una traccia come “A Trace Of Blood” è emblematica. Molti cercheranno d’imitarli, ma nessuno saprà avvicinarsi alla loro raffinatezza e sensibilità nel rileggere il prog metal in chiave squisitamente intimista.
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