Secondo molti è questo l’ultimo grande disco dell’Avvocato di Asti. Opinione criticabile, tuttavia è certo che in “Una faccia in prestito” Paolo Conte osa, per l’ultima volta, improvvisi cambi di traiettoria e soluzioni compositive inedite, prima di celebrare la nostalgia in tutti gli album che seguiranno. 17 tracce per oltre un’ora di musica, in cui a fianco delle consuete illuminazioni jazz/swing si odono umori francesi e balcanici, mitteleuropei e sudamericani. “Teatro” è una via di mezzo fra Ravel e Weill (anche se la dedica va a Vittorio Alfieri), “Quadrille” un’imboscata all’Ottocento, “Sijmadicandhapajiee” una bellissima danza di folk melanconico. La voce e il piano del leader sono come sempre impeccabili nel loro esser lucidamente eterodossi, ma il valore aggiunto dell’ellepì sta tutto nella sezione fiati e nei livelli eccelsi che spesso questa è in grado di raggiungere. Così “Un fachiro al cinema”, una delle dieci canzoni più belle nella storia della musica italiana, scava in epoca pre swing e trasporta Louis Armstrong nelle brume e nelle malinconie piemontesi. Applausi.
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