D’accordo, il decimo album in studio dei Pearl Jam non è certo esente da pecche. In particolare, il difetto maggiore di “Lightning Bolt” è quello di essere tanto, troppo discontinuo. A picchi altissimi si alternano cadute di tono che avrebbero potuto essere evitate. Fra i primi sono sicuramente annoverabili “Sirens”, bellissima ballad in puro stile Pearl Jam, e ancora “Yellow Moon” e “Future Days”, i cui palpiti folk dimostrano che oggi Eddie Vedder si esprime al meglio nell’idioma della tradizione della grande canzone americana (tutto quel trafficare con Neil Young in passato doveva dare i suoi frutti, prima o poi). Fra le seconde, purtroppo, ricadono alcuni episodi più rock, ad esempio “Mind Your Manners”: il tiro grunge/punk, in tutta onestà, non è più quello dei bei tempi, e nonostante l’alto tasso d’elettricità il brano scivola nell’anonimato. I Pearl Jam targati 2013 cercano anche nuove soluzioni, ma si tratta di tentativi che spesso vanno a vuoto, come accade in “My Father’s Son”, le cui sfumature wave mal s’adattano alla sensibilità del complesso. Ciò detto, va comunque sottolineato che quella manciata di ballad sopracitate rendono “Lightning Bolt” un LP all’altezza del nome che l’ha concepito, e che anzi arrivare in doppia cifra di long playing in questa forma è prerogativa dei grandi. Oltre a essere una buona scusa per tornare a suonare dal vivo, habitat naturale per il quintetto di Seattle.
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