Quando uscì “Spheres“, gli olandesi Pestilence avevano già pubblicato tre album in un continuo crescendo qualitativo, e “Testimony Of The Ancients” (1991) si era segnalato fra i migliori dischi di death metal europeo, indubitabilmente molto tecnico e intricato ma ancora sostenuto da una buona dose d’immediatezza. “Spheres“, al contrario, lasciò disorientati un po’ tutti, a partire dagli stessi fan del complesso. Perché in quest’opera i Pestilence non rinunciavano alla violenza e all’assalto sonoro tipici del death, e la voce di Patrick Mameli continuava ad essere perfettamente in linea con quella degli act più sanguinari, ma i riff e gli assoli di brani come “Mind Reflections”, “Multiple Beings” e “Demise Of Time” si contorcevano in forme abnormi, segnalando un netto distacco dai canoni più stretti del genere. L’influsso dei Death di “Human” era palese, ma il quartetto andava ancora oltre, esprimendosi attraverso soluzioni progressive e fusion che richiamavano gli esperimenti di act avanguardisti della caratura di Atheist e Cynic, soprattutto in episodi quali “Voices From Within” e “Personal Energy”. Non paghi, nell’intro di “The Level Of Perception” e nella gemma strumentale “Aurian Eyes” i Nostri si permettevano pure di chiamare in causa la sperimentazione colta contemporanea, suggerendo strutture debitrici nei confronti della musica atonale e post weberniana. I testi del batterista Marco Foddis, poi, si erano fatti astratti e molto personali, lontani dai cliché del death. Il cd non ottenne alcun successo, e i Pestilence si sciolsero poco dopo (si sono riformati nel 2008, ma gli album post reunion non sono granché); tuttavia “Spheres” rimane un capolavoro assoluto nell’ambito del metal estremo più evoluto e cerebrale.
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