Il Pop Group condivide le stesse posizioni di estrema sinistra della Gang Of Four, oltre a un sound che scaturisce direttamente dalla corruzione del funk ottenuta tramite il punk. A differenziarli dai loro connazionali e, in generale, da tutta quanta la scena new wave e post – punk più ‘mainstream’, è però un approccio alla musica talmente radicale che, fossero stati newyorchesi e non di Bristol, avrebbero dovuto esser inclusi di diritto nella compilation “No New York” di Brian Eno. “Y” è oltre il punk – funk, oltre il concetto stesso di rock (la sigla sociale scelta dal quintetto è palesemente una burla): album luddista e ferocemente primitivista, assomma in nove brani dissonanze vicine al free jazz, ritmi tribali spinti allo spasimo, rotture del tessuto sonoro che bruciano l’aria circostante e un senso di utopia che si fa largo fra urla, sax strozzati, poliritmi selvaggi e chitarre seviziate. Il senso di spaesamento viene accentuato da alcuni inserti di pianoforte classicheggiante e inquietanti stacchi ambient, che esaltano ancor di più la carica eversiva di composizioni quali “Thief Of Fire”, “Savage Sea”, “Don’t Sell Your Dreams” e “We Are Times”, in cui riff surf/rockabilly vengono scossi da continue esplosioni di suoni liberati. È un po’ come se si stesse ascoltando una versione notevolmente più arrabbiata dei Talking Heads, sbucata dalle profondità di una foresta del Borneo. “Y” è uno dei dischi più impressionanti generati dalla new wave.
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