Nel corso degli anni Novanta “Sailing The Seas Of Cheese“, terzo album dei pazzoidi Primus, vendette talmente tanto da raggiungere il disco di platino negli Stati Uniti. Impresa possibile solo in un decennio che, come nessun altro, mise in primo piano suoni bizzarri e fuori dai consueti canoni del music biz. Merito dell’effetto di “Nevermind” dei Nirvana, sicuramente. Merito anche del monumentale basso slappato di Les Claypool, della sua voce da papero rinitico, del chitarrismo obliquo di Larry LaLonde, dei pattern di batteria ‘enigmistici’ di Tim Alexander. Un attacco alle convenzioni del rock che in quest’opera raggiunge l’acme dell’iconoclastia: il trio di San Francisco naviga il mare di formaggio in balia di scosse funk metal, acidità psichedeliche, progressive rock sardonico, uragani ritmici in tempi dispari, jazz in polvere e fusion liofilizzata. Un crossover più ambizioso e cerebrale rispetto alla media, reso però divertente da un’attitudine ironica e ludica che traspare sia dai testi sia dalle note. Un modo di procedere che lega il nome dei Primus alle meravigliose eterodossie armonico/melodiche di altri grandi irregolari della musica americana, da Frank Zappa a Captain Beefheart, dai Residents ai Pere Ubu passando per i Funkadelic. Un capolavoro.
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