I Radiohead erano un oggetto misterioso già ai tempi del loro debutto su disco. Quando uscì “Pablo Honey” fu difficile incasellarlo per tutti i critici del tempo: era sicuramente un album chitarristico e vicino a certo alternative rock coevo. Qualcuno subodorò persino il brit pop e altri lo accostarono addirittura al grunge (!!!), forse per l’umore limaccioso di fondo e una splendida lamentazione in forma di ballad rumorosa come “Creep”, brano che insieme a “Anyone Can Play Guitar” è ancora il più celebre del cd. C’era, in quelle 12 canzoni, sicuramente molto che rimandava alla tradizione pop/rock britannica (cfr. “How Do You?”, che a voler usare un po’ di fantasia potrebbe esser accostata a una versione modificata dei Kinks), e negli episodi più dolenti non mancavano neppure sfumature alla Smiths (“Stop Whispering”, specie per l’arpeggio di chitarra iniziale). Si percepiva già, nonostante tutto, un grado di originalità straordinario, e i più accorti intesero che stavano assistendo alla nascita di una nuova grande band dalle ampie possibilità, non solo un “one hit wonder” dal successo effimero. Forse nessuno, però, pensava fosse possibile che nel giro di un paio di album Thom Yorke e compagni avrebbero cambiato il volto della musica degli anni Novanta, oltre a modificare radicalmente il loro stile.
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