Henry Rollins, assurto a icona dell’hardcore punk per esser stato dal 1981 al 1986 cantante dei seminali Black Flag di Greg Ginn, aveva già realizzato alcuni dischi fenomenali con il suo omonimo gruppo nel corso della seconda metà degli anni Ottanta. Si ricordano soprattutto il debutto “Hot Animal Machine” (del 1987 e ancora a suo nome), in cui il punk viene detonato tramite infuocati boogie rock, e “Life Time”, dello stesso anno e primo a venir pubblicato con la dicitura Rollins Band, contenente il terrificante blues da apocalisse psichica “Gun In Mouth Blues”. È però con “The End Of Silence” che il complesso realizza il proprio album più significativo: Henry qui sfoga tutta la sua rabbia urlando a pieni polmoni su di un tappeto musicale che si nutre indifferentemente di punk, hardcore, metal e persino blues distesi su jam che sono al contempo violentissime e raffinate. La chitarra di Chris Haskett è in grado di proporsi indifferentemente in riff e assoli hard rock (l’inno “Low Self Opinion”, la dinamica “Almost Real”), heavy metal (“Tearing”), post hardcore (“What Do You Do”) o di colorare di psichedelia le lunghe e cangianti “Blues Jam”, “Obscene” e “Just Like You”. Dal canto suo, la sezione ritmica formata da Andrew Weiss (basso) e Sim Cain (batteria) accompagna i due solisti pompando una formidabile soluzione di funk e metal, dura e spessa come un macigno. I testi fanno male quanto la musica, e vengono gridati da Rollins con uno sforzo titanico per mezzo di una voce divenuta potentissima nel corso di una decade di durissimo lavoro. “The End Of Silence” è anche una delle opere più anticommerciali di sempre ad aver fatto capolino nelle chart (160esima su Billboard 200 e settima su Top Heatseekers).
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