Con “Permanet Waves” dell’anno precedente i Rush si erano spostati su territori più consoni all’airplay radiofonico, meno intricati e progressive. È però con “Moving Pictures” che la trasformazione assume contorni più definiti, e anche artisticamente si tratta di un nuovo apice per il power trio canadese. A partire dalle tastiere spaziali che permeano “Tom Sawyer” s’intuisce che l’aria è cambiata rispetto a “2112” (1976), ma è sempre un gran bel respirare. Ecco, ‘arioso’ è l’aggettivo che meglio definisce il nuovo corso della band, non più impegnata in suite colossali (ma ci sono i quasi 11 minuti di “The Camera Eye” a far da ponte col passato) ma interessata a far scoppiare la forma – canzone tramite melodie dall’impatto ciclopico. I luminosi riff chitarristici di “Red Barchetta“, le sottili elucubrazioni strumentali di “YYZ” e i languori gotici di “Witch Hunt” parlano di un’opera indimenticabile, in grado di acquisire 4 dischi di platino sia in Canada sia negli Stati Uniti. Successo meritatissimo.
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