L’unico album in studio dei Sex Pistols esce il 27 ottobre del 1977, quando ormai la parabola vitale della band è giunta quasi al termine; l’ultimo concerto l’avrebbero tenuto il 14 gennaio del 1978 a San Francisco, data finale del famigerato tour americano, quattro giorni prima che lo stesso Rotten annunciasse lo scioglimento. “Never Mind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols” assume così un valore particolare: si tratta, con tutta probabilità, della più nitida istantanea della prima stagione punk, capace di riassumere in una manciata di canzoni rabbiose e dai testi realmente nichilisti lo spirito (marcio) di un’epoca. John “Johnny Rotten” Lydon, Steve Jones, Paul Cook e Glen Matlock (questa la line – up che compose quasi tutto il materiale dell’LP, prima che Sid Vicious sostituisse Matlock al basso) non hanno inventato un bel niente, di sicuro non il punk: senza andare troppo a ritroso nel tempo, citando New York Dolls e ancor prima Stooges, MC5 e l’intero movimento garage, band come Ramones e personaggi come Richard Hell hanno avuto un’influenza molto maggiore nel coniare il ‘nuovo’ idioma sonoro, tanto che messi a confronto con le canzoni di questi, i brani dei Pistols hanno una durata mediamente superiore e un gusto quasi ‘hard rock’ per strutture minimamente complesse che comprendono persino alcuni assoli di chitarra (d’altra parte era nota la passione dei quattro per il glam rock, e Rotten fu scelto come cantante dallo scaltro Malcom McLaren grazie a un’imitazione di Alice Cooper, non di Iggy Pop). Detto questo, la loro importanza rimane immensa: senza crearlo, sono stati comunque i primi a sdoganare il punk e a tramutarlo in un fenomeno di massa, infatti “Never Mind The Bollocks…” ha raggiunto la vetta della classifica U.K., ottenendo pure il disco di platino. Ancora: senza essere rivoluzionario tout court, il loro modo di rendere sporco, disordinato e urticante il vecchio rock & roll non trovava paragoni; inni sboccati, blasfemi e grondanti disagio reale come “God Save The Queen” (sfottere la regina in Inghilterra era come farlo con il Papa in Italia), “Pretty Vacant”, “Anarchy In The UK”, “Holidays In The Sun”, “Liar”, “No Feelings” e “Bodies” (una delle canzoni più disturbanti di sempre) non avevano quasi nessun precedente, sicuramente non nel Regno Unito, oltre a poter contare sul valore aggiunto della voce insultante di Rotten e del suo accento cockney appositamente esasperato. E poi le loro provocazioni via piccolo schermo e via Tamigi offendevano sul serio la sensibilità di una nazione intera, che li considerava anticristi reali. Insomma, se davvero c’è stata la “grande truffa del rock & roll”, non si può dire che i Nostri, per attuarla, non abbiano rischiato del loro. Oltre a questi meriti, sono stati però fortunati in quanto a tempismo: negli anni Sessanta (e ancora nei primissimi Settanta) i sogni di pace e amore della controcultura hippie erano troppo radicati perché la violenza del rock urbano di Velvet Underground, Stooges e compagnia pericolosa attecchisse e si facesse ascoltare; nel 1977, crollate le vecchie illusioni e in piena recessione, quando i Sex Pistols urlano per la prima volta di “nessun futuro per me e per te” trovano milioni di ragazzi che recepiscono il messaggio forte e chiaro.
se loro non sono il punk…….non dirmi che lo sono i Ramones???..Non diciamo cazzate!!