Ideale prosecuzione di “Ágætis Byrjun”, “()” ne amplifica le idee e le porta a perfezione. Se nel predecessore era ancora possibile notare la dicotomia fra post rock e ambient, nel terzo disco dei Sigur Rós il sound è ormai divenuto tanto personale da sfuggire a qualsiasi catalogazione precisa. Otto brani senza titolo – ma verranno nominati in base ai loro riferimenti interni – per un flusso di note che tende all’impossibile, ossia dare voce al silenzio. Il compito è oltre le umane possibilità, ma il gruppo islandese ci va vicino, tingendo le composizioni di tonalità ora tenuemente epiche (fra le altre, le tracce 2 e 6), altre volte più inquietanti e cupe (l’organo della quinta traccia). In “()” non c’è neppure l’ombra di una sbavatura, al contrario dei dischi che seguiranno: per questo è ricordato come il momento culminante dell’arte discretamente solenne dei Sigur Rós.
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