Proprio mentre i suoni più scorbutici dell’alt/indie rock, grunge in testa, stavano uscendo dall’underground, il glam/street metal toccava uno dei suoi vertici assoluti in quanto a risonanza mediatica e commerciale. Dopo i successi più o meno enormi di Bon Jovi, Motley Crue, Poison, Cinderella e Guns N’ Roses era il turno dell’esordio degli Skid Row, band guidata dal frontman Sebastian Bach (è un nome d’arte), cantante dotato e di bell’aspetto, coadiuvato dall’abilità esecutiva e di scrittura dell’insostituibile coppia Rachel Bolan (basso) e Dave “The Snake” Sabo (chitarra). “Skid Row” è uno splendido compendio di tutto quanto l’hard rock d’alta classifica aveva sviluppato nel corso del decennio: energia, impatto, riff possenti ma orecchiabili, assoli taglienti e al contempo melodici, linee vocali esagitate eppure attente al ritornello a presa rapida, testi basati su belle ragazze e ribellismo giovanile. “Big Guns”, “Sweet Little Sister”, “Rattlesnake Shake”, “Here I Am” e “Midnight/Tornado” amalgamano questi elementi in modo perfetto, anche se a far breccia ci pensano soprattutto l’innodica “Youth Gone Wild” e due power ballad, la drammatica “18 And Life” e la romantica “I Remember You”. Tuttora questo debutto è l’articolo più noto del quintetto del New Jersey, 5 milioni di copie vendute in patria. Nel 1991 torneranno con il più pesante “Slave To The Grind“, poi verranno trascinati a fondo dallo tsunami grunge.
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