E’ l’album più sottovalutato nella discografia degli Slayer, “Divine Intervention“. Molti ragazzi, infatti, storcono il naso di fronte al sostituto di Dave Lombardo, quel Paul Bostaph che non sarà mai veramente accettato dai fan del gruppo. È palese che Lombardo dietro le pelli sia inarrivabile, eppure Bostaph, proveniente dai Forbidden (non certo una band scarsa), si rivela degnissimo sostituto. Forse non così eclettico e più sulla scia del classico batterista metal, ma dotato di un’abilità tecnica sbalorditiva, messa subito in bella mostra nei primi secondi dell’apripista “Killing Fields”. La qualità dei brani, poi, è altissima: il disco riesce a mediare fra le due anime del quartetto, quella supersonica di “Reign In Blood” e l’altra più ‘ragionata’ di “Seasons In The Abyss”. La già citata “Killing Fields” è un perfetto esempio di quest’amalgama; la prima parte è giocata su di un mid tempo malsano, e all’improvviso parte una mostruosa accelerazione che sfreccia micidiale nell’ultimo minuto. Gli highlights sono comunque numerosi: la malata title – track rimanda alle atmosfere di “Dead Skin Mask”, “Dittohead” è un proiettile “full metal jacket” che detona una miscela hardcore/metal delle più esiziali di sempre, “Mind Control” un bel thrash dei tempi andati, “Serenity In Murder” patologica come solo una canzone degli Slayer sa essere, anche se l’apice del delirio nichilista/superomistico viene toccato nella rapidissima “Sex. Murder. Art.”, chiusa dall’urlo di Araya che afferma “God is dead, I am alive“. Nel 1994 stava ormai sorgendo il nu metal, ma questo capolavoro è da riscoprire assolutamente.
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