Suicide – American Supreme

E’ questo il vero erede dello storico debutto omonimo del 1977. Certo, in “American Supreme” non c’è un brano da ‘oltremorte’ come “Frankie Teardrop”, apoteosi del tralignamento. Eppure i Suicide non hanno smesso di essere minacciosi. A partire dalla copertina, raffigurante la bandiera statunitense spettralmente sbiancata, il disco mostra subito il suo profilo angosciante. Dentro, è un tripudio di synth ottundenti superbamente controllati da Martin Rev, il quale dimostra di aver assimilato e fatto propri i più disparati stili elettronici sorti dopo l’esplosione del punk, dall’hip hop (“Televised Executions”, la devastante “Wrong Decisions”) alla techno (“Swearin’ To The Flag”, “Death Machine”) passando per la house (“American Mean”). La voce di Alan Vega è tornata ai vecchi splendori, incontenibile nei suoi sussulti più perversi. In generale, rispetto a “Suicide”, c’è meno garage rock futuribile e più funk alienato. È inoltre ovvio che “American Supreme” non possa competere con la leggendaria opera prima in termini d’innovazione e influenza storica; rimane però un capitolo essenziale per l’electro contemporanea, sottovalutato da quasi tutti.

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