Il debutto di Alan Vega, voce, e Martin Rev, sintetizzatore, organo Farfisa e drum machine, è uno dei dischi più spaventosi della storia. In poco più di mezz’ora i due artisti newyorkesi creano un sound gelidamente apocalittico, che tramite la reiterazione ossessiva di un tema sonoro, modo di comporre mutuato dalla corrente minimalista della classica contemporanea, tramuta in meccanismi androidi le vibrazioni del garage rock (cfr. il retrogusto Stooges di “Ghost Rider”), del rockabilly (cfr. “Johnny”) e della psichedelia malata di marca Velvet Underground (cfr. i dieci minuti di “Frankie Teardrop“, agghiacciante sinfonia di rumori concreti, tastiere ipnotiche, gemiti, urla impazzite e inferno sulla terra). “Suicide” riverbera suono non umano e soffoca la vita in antri di straniante alienazione urbana (lo space – synth di “Rocket USA”, l’erotismo allo Xanax di “Girl” e quello illusorio di “Cheree”), mentre la cantilena psicotica di Vega si specchia nel suono spietato dei synth di Rev. Un’opera unica, fondamentale non solo per la new wave tutta, ma anche per molto industrial e per tutto il filone del synth – pop, che riutilizzerà le mortifere intuizioni del duo statunitense in un contesto molto più ‘spensierato’. Qui, invece, di spensierato non c’è nulla, tanto che l’album potrebbe esser utilizzato come colonna sonora per “l’uomo schizoide del Ventunesimo Secolo”, ulteriore prova della sua capacità di precorrere i tempi.
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