“I must fight this sickness/Find a cure”, canta in modo accorato Robert Smith alla fine del brano omonimo di quello che è il disco più patologico dei Cure. “Pornography” pone fine a quella che viene comunemente detta la “trilogia gotica” della band, gli altri capitoli essendo il sublime “Seventeen Seconds” (1980) e il raffinato “Faith”, e lo fa ispessendo oltremodo le atmosfere. Sparisce parte del minimalismo che definiva i primi tre ellepì, al suo posto subentra un suono più profondo, pastoso, con chitarra, basso e batteria che graffiano come non mai, delineando i contorni della percussiva “The Hanging Garden”, allargando gli echi della mesmerica “A Short Term Effect”, trascinando nelle tenebre la lenta e morbosamente melodica “Siamese Twins”. L’apoteosi dei languori ossianici del trio la si ha, però, nella neoclassica “Cold”, dominata dalle tastiere che imitano il suono dell’organo, e nella title – track stessa, in cui è più che percepibile l’ossessione che tormenta Smith. “Pornography” è sicuramente annoverabile fra gli album essenziali del gruppo britannico.
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