The Cure – Seventeen Seconds

I fraseggi sconsolati delle tastiere di Matthieu Hartley, disturbati da foschi rumori elettronici, introducono la strumentale “A Reflection”, e con essa uno dei dischi più spettrali del post – punk. Rispetto all’esordio, con “Seventeen Seconds” i Cure virano nettamente verso il gothic rock, meno rumorista, enfatico e teatrale rispetto a quello dei Bauhaus, in compenso più sottile e spaventosamente rarefatto. Simon Gallup sostituisce Michael Dempsey al basso; lo stile di quest’ultimo, infatti, veniva giudicato troppo ricco dal leader Robert Smith. Questo la dice lunga sulla secchezza scheletrica delle dieci tracce presenti nell’LP, fra cui vanno assolutamente segnalate le spoglie e depresse “In Your House”, “At Night” e “Three”, nonché la title – track, brevi squarci di puro ed irredimibile spleen esistenziale. Il capolavoro però rimane “A Forest”, fredda e brulla come una giornata di fine novembre imbevuta di nebbia. Gli inglesi comporranno dischi più celebri e complessi, eppure forse è questo il culmine del loro particolarissimo dark sound.

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