Sono di Portland, Oregon, Stati Uniti, ma il mondo musicale e, soprattutto, letterario che evocano nei loro dischi è più affine a certo dandismo squisitamente inglese. Facile capire da queste premesse che i Decemberists sono una band unica. Ancora oggi, sebbene negli ultimi capitoli si siano un po’ imballati fra cerebralità progressive folk e un senso di pesantezza che ammorba molte idee che, altrimenti, sarebbero più che valide. Al contrario, in “Picaresque“, terzo album in studio, tutto è perfetto. A partire dalle storie narrate, squisiti quadretti di epica barocca quasi Elisabettiana, passando per i ritornelli vocali e le intersezioni fra pop “da camera” degli anni Novanta e folk rock britannico dei Sessanta. L’istinto progressivo è già presente, ma ancora perfettamente in armonia con gli accordi più epidermici per voce e chitarra. La saga di “The Mariner’s Revenge Song” e l’ebbro baccano in souplesse di “Sixteen Military Wives” sono solo due episodi estratti da un filare di canzoni pregiate e incomparabili. Peccato per il futuro, ma “Picaresque” va dritto dritto nel novero dei lavori più significativi dell’indie d’inizio secolo.
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