L’esordio del quintetto strumentale guidato dal sassofonista John Lurie mise i critici in allerta. Non si sapeva come definire quella strana mistura di suoni d’impronta jazz, influenzata sì dal free di Ornette Coleman, dalle esperienze di confine di Charles Mingus e dal be bop visionario di Thelonious Monk, ma pure dilaniata dalle contorsioni del punk e della no wave (non a caso è presente nella formazione anche Arto Lindsay, già nei D.N.A.). Senza scervellarsi troppo e inutilmente, basti qui dire che “The Lounge Lizard” è uno dei pochissimi dischi degli anni Ottanta in grado di comunicare qualcosa d’innovativo in ambito jazzistico, e non solo: capace d’influenzare rock e derivati come, quasi un decennio dopo, solo John Zorn e i suoi Naked City sapranno fare. Prodotto da Teo Macero (sì, quello di Miles Davis) e pubblicato dalla EG Records di Brian Eno, altri due indizi di assoluta eccellenza.
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