Non si tratta di un omaggio ai Beatles. Anche se, dopo gli esordi marchiati dal punk e dall’hardcore, i Replacements compongono un album che in qualche modo guarda ai tempi dei Fab Four, smussando in parte le matrici più dure e ostiche del loro suono e puntando tutto su un inusitato ibrido fra ballad (“Androgynous”), sciabolate hard che del punk rimuginano l’urgenza ma l’incastrano in strutture più classiche (“Favorite Thing”) e ricordi del passato in cui, però, vengono inseriti stacchi eterodossi (“We’re Coming Out”). E a volte si ha l’impressione che il leader Paul Westerberg sia una sorta di Bruce Springsteen cresciuto col punk, quando senti persino accenti country – roots sollevarsi da questa imprescindibile manciata di canzoni, come capita in “Sixteen Blue”. “Let It Be” sarà uno dei dischi a cui più guarderanno gli eroi del futuro alternative rock, generazione grunge compresa.
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