Per risultare ancor più controversi dopo una delle dichiarazioni più shoccanti di Morrissey (“Il solo modo di salvare l’Inghilterra è uccidere Margaret Thatcher“), gli Smiths affermano sin dal titolo del nuovo album che “la regina è morta”. Rimane, questo, il loro disco più noto, e soprattutto per meriti musicali. Lo stile della band è sempre riconoscibilissimo, tuttavia accanto a stupende pop – song nella consueta vena intimista e soffusa quali “I Know It’s Over”, “Cemetery Gates”, “The Boy With The Thorn In His Side” e “There Is A Light That Never Goes Out”, sono gli oltre 6 minuti della title – track ad assurgere a capolavoro trascendentale. Morrissey interpreta al meglio uno dei suoi testi più complessi ed allegorici di sempre (ci si potrebbe scrivere un intero trattato di psicologia), lo impreziosisce con la consueta ironia, mentre il suo canto a tratti riecheggia lontano e si perde nella nebbia; intanto il gruppo intride di psichedelia i fraseggi degli strumenti, che portano a una coda strumentale in cui la chitarra di Johnny Marr diviene esperienza mistica e sprizza acido che si abbatte sulla note cristalline dell’harmonium. Un passo in avanti rispetto allo schema – base, che conferma l’appartenenza degli Smiths alla ristretta cerchia dei gruppi pop/rock più importanti degli ultimi trent’anni.
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