The Stranglers – Rattus Norvegicus

L’esordio è anche il disco più vicino al punk propriamente detto che gli Stranglers abbiano mai scritto, e lo dimostra un episodio secco e irruento come “London Lady”. Eppure, già in “Rattus Norvegicus“, la band inglese dimostra di possedere uno stile particolarissimo, quasi torvo, che anticipa di un paio d’anni certi cascami gotici del post – punk più raffinato. Il loro stile rimane comunque inafferrabile, segnato com’è dalle tastiere quasi doorsiane di Dave Greenfield, che arricchiscono di elementi ora caldi e sensuali ora cupi e spettrali i riff new wave presenti in “Goodbye Toulouse”, l’atmosfera sarcasticamente malinconica di “Princess Of The Streets”, le sfumature reggae di “Peaches”, l’art rock influenzato dai Roxy Music di “(Get A) Grip (On Yourself)” e le complesse partiture della lunga “Down In The Sewer”, dalle sfumature psichedeliche e progressive. Testi controversi ed espliciti, accusati di misoginia e persino di fascismo, look oscuro ed un persistente alone di mistero completano il quadro di uno degli act più originali emersi dalla nuova onda che investì il mondo del rock in quegli anni.

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