Dopo la gloria raggiunta con la rock – opera “Tommy” (1969) e il ritorno al rock più sanguigno con l’adrenalinico disco dal vivo “Live At Leeds” (1970), gli Who pubblicano quello che probabilmente è il loro reale capolavoro. “Who’s Next” avrebbe dovuto costituire un’altra rock – opera dal titolo “Lifehouse”. Le cose si volgeranno diversamente, e non in senso negativo. In questi nove brani è riassunto tutto il suono della band inglese, che detona prepotente soprattutto in due canzoni, fra le più straordinarie nell’intera storia del rock: l’omaggio a Terry Riley (fra i padri del minimalismo) “Baba O’Riley“, la quale si apre con un fraseggio ipnotico di tastiera che ha fatto epoca, evolve in un R&R anfetaminico e viene conclusa da un bruciante assolo di violino; e “Won’t Get Fooled Again“, otto minuti interamente devoluti alla celebrazione del rock, in cui i riff serrati della chitarra di Pete Townshend e il batterismo feroce di Keith Moon vengono interrotti da un estatico assolo d’organo, per poi riprendere dopo l’urlo lacerante di Roger Daltrey. Indispensabile.
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