Scambiati per un gruppo di progressive esotico a causa del primo album, “Alchemy” (1969), il quartetto dei Third Ear Band (Paul Minns all’oboe, Glen Sweeney alle percussioni, Ursula Smith al violoncello e Richard Coff a violino e viola) è in realtà un ensemble di musica classica d’avanguardia piuttosto che un gruppo anche solo lontanamente rock, genere di cui non c’è traccia in questo secondo ed omonimo album (conosciuto anche come “Elements”), formato da quattro fantasie strumentali intitolate con i nomi dei quattro elementi. In “Air”, “Earth”, “Fire” e “Water” i quattro musicisti traspongono melodie tratte dalle più disparate tradizioni (indiane, arabe, mediterranee, nordiche, dell’estremo oriente, etc.) in un intarsio sonoro che si fa carico di armonizzare fonti tanto eterogenee tramite l’improvvisazione jazz e spunti di sperimentazione colta contemporanea. La magia riesce, e i movimenti dell’opera assumono un gusto particolarissimo all’orecchio, felice di perdersi nei cambi d’atmosfera e nelle volute ritmico – armoniche che la Third Ear Band tesse con mano fatata, evocando riti antichi che rivivono in uno dei dischi più belli e incatalogabili degli anni Settanta.
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