A voler essere pignoli, il meglio di Tina Turner solista rimane probabilmente “Acid Queen” (1975), in cui la cantante interpreta, fra l’altro, la cover di “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin. È però inconfutabile che il disco in grado di farla passare alla fama assoluta sia stato “Private Dancer“: 5 volte platino negli Stati Uniti e stime complessive che si aggirano sui 20 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Qual è stato il segreto di tanto successo? Probabilmente gli arrangiamenti pop/rock ispirati agli ultimi ritrovati in fatto di black music (Marvin Gaye e Michael Jackson), che attualizzano il rhythm and blues originario in sfondi sonori più potabili per ogni palato; la scelta dei brani, fra cui compare il celeberrimo “What’s Love Got To Do With It”, cavallo di battaglia della Turner per il resto della sua carriera; e ovviamente lei, che a 45 anni ha raggiunto il massimo della propria brillantezza vocale (il divorzio da Ike le ha indubbiamente giovato, in tutti i sensi). Forse si perde un po’ di soul, ma pazienza. “Private Dancer” forgerà l’R&B contemporaneo.
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