Fin da questo lunghissimo esordio omonimo (ben 77 minuti di durata), gli inglesi Tindersticks si rivelano fra le punte più avanzate del nascente indie pop degli anni Novanta. Certo, lo shoegaze è dietro l’angolo, eppure la band di Nottingham dimostra di saper progredire dall’assunto di base di My Bloody Valentine e compagnia melodico/rumorosa, per concentrarsi maggiormente sulla tessitura del suono, che accantona le distorsioni più violente per concentrarsi sull’armonia delle forme, includendo una miriade di strumenti classici, dal violino all’oboe, dal pianoforte all’organo. Musica notturna e sottilmente inquietante, che realizza un incrocio fra cantautorato nordamericano e tradizione colta europea, entro il quale lo shoegaze rimane soltanto come presenza ectoplasmatica, ad indicare semplicemente la ricerca di atmosfere oniriche. Un decadentismo messo in note che influenzerà prepotentemente tutto il filone chamber pop.
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