Sono stati la fissa per un mare di ragazzine per almeno tre anni in tutto il mondo, proponendo un pop rock cantato in tedesco e puntando sull’immagine del frontman Bill Kaulitz per sfondare; il loro nuovo lavoro, terzo disco da studio, è pieno zeppo di synths, tastiere, effettistica varia e un monte di elettronica. Ora c’è da capire quanto questa scelta sia stata loro o quanto dettata da una strategia ben precisa: essere ancora più orecchiabili e accessibili, smorzando quel pelo di rock che usciva ogni tanto dai loro pezzi precedenti, motivando il “nuovo” sound come un segno di maturità, crescita e sperimentazione. Una produzione perfetta ma molto fiacca se vista dal versante Tom Kaulitz, chitarrista e sotto sotto vero capo della band, permetterà ancora a queste composizioni innocue di fare facilmente breccia nel cuore di adolescenti di varia estrazione musicale. La titletrack è il brano più rockeggiante, il resto, molto depotenziato alla base, è studiato per essere cantabile e “da arena”, farcito di chorus ariosi ovviamente da presa istantanea. La loro parabola però sta esaurendosi, infatti i Tokio Hotel dopo un quinquennio al massimo molleranno la presa per qualche anno dopo il tour di supporto a “Humanoid”.
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