Tom Waits – Bone Machine

Negli anni Novanta la produzione di Tom Waits si fa parchissima; appena tre album in studio, uno dei quali (“The Black Rider” del 1993) raccoglie canzoni scritte per uno spettacolo teatrale. Scelta saggia, tuttavia. Invece di inondare il mercato discografico con uscite inutili, Waits centellina e sforna almeno due capolavori. Uno di questi è “Bone Machine“, caliginoso nella sua sotterranea formula di blues rock dissonanti e disossati (“Such A Scream”, “All Stripped Down”), gospel Beefheart-iani (“Jesus Gonna Be Here”), espressionismo circense (“In The Colosseum”), ballad stralunate (“Dirt In The Ground”) e altre più classicamente romantiche (“Who Are You”), inquietanti squarci percussivi (“Earth Died Screaming”), inni folk – punk a bassa fedeltà (“I Don’t Wanna Grow Up”) e rock & roll selvaggi ed epidermici (“Goin’ Out West”). Tom si giova anche della collaborazione della moglie Kathleen Brennan per alcuni testi, fra i migliori mai scritti dai due. Voce sempre più cavernosa, timbri strumentali paradossali, strutture traballanti come un ponte tibetano eppure perfettamente in grado di reggersi nel vuoto: tutto questo è “Bone Machine”, altro manufatto imperdibile di un mostro del cantautorato americano.

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