Quando “Boy” uscì, pochi indovinarono le “magnifiche sorti e progressive” che avrebbero atteso questa giovane band irlandese, destinata a mutare la forma del rock nell’ultimo scorcio di Millennio. E in effetti, ad un ascolto superficiale quest’esordio poteva apparire, all’epoca, come un ottimo disco di ascendenza post – punk (il suono nervoso di basso e chitarra, la batteria secca ed essenziale, certi aromi cupi), ma non molto diverso da altri 33 giri coevi. In realtà, in pezzi come “I Will Follow” e “Into The Heart” era già evidente la volontà universalistica e demagogica (in senso buono) della loro musica; il canto enfatico di Bono e i riff epici della sei corde di The Edge indicavano l’aspirazione a un pop/rock totale, in grado di abbattere tutte le barriere e di portare il loro verbo al maggior numero possibile di persone. Un obbiettivo che gli U2 centreranno in pieno, anche se per attuarlo avranno bisogno di alcuni anni e di qualche affinamento stilistico.
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