E’ il secondo album il più significativo della prima fase di carriera degli Ultravox (allora ancora Ultravox!), quella condotta sotto la guida del cantante John Foxx. Se il debutto omonimo era contraddistinto da un sound memore del glam rock ma virato in senso pesantemente elettronico (un titolo come “I Want To Be A Machine” non lascia spazio a dubbi), in “Ha!-Ha!-Ha!” le tastiere, i synth ed il violino di Billy Currie vengono invece schiantati contro un muro chitarristico che attinge a piene mani dal punk rock dell’epoca. Ne nascono ibridi stranianti come “ROckWrok”, “The Frozen Ones”, “Fear In The Western World” e “The Man Who Dies Every Day”: se la prima mantiene echi riconducibili ai Roxy Music, le altre agiscono da manifesti sonori di mutazione biomeccanica, con il sintetizzatore a soffiare gelido sulla frenesia di chitarra, basso e batteria. Il capolavoro dell’opera rimane, però, la conclusiva “Hiroshima Mon Amour“, stele ghiacciata di funereo synth – pop levigata dal sax, eretta sul ritmo modificato di bossa nova mandato in loop da una drum machine. È da quest’ultimo brano che prenderanno spunto gli Ultravox più famosi, oltreché uno stuolo di giovani band, fra cui i Tubeway Army di Gary Numan.
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